Main menu

Indice articoli

APPUNTI SULL’ARBITRATO NELLA RIFORMA LUISO. ERA POSSIBILE OSARE DI PIU’ ?

di Attilio Spagnolo, Avvocato del foro di Bari

Introduzione. Brevi considerazioni sul progetto Luiso e sugli emendamenti al Senato.  La diffusione delle clausole arbitrali quale possibile obiettivo della riforma. E’ possibile un nuovo sistema di giustizia privata? una occasione persa. Conclusioni.

INTRODUZIONE

Il progetto di riforma “Luiso”, che si occupa del processo civile nell’ambito della più ampia riforma della Giustizia  “Cartabia”,  ha previsto che una delle direttrici della novella sia il maggior ricorso all’arbitrato; pur introducendo novità non marginali il progetto a mio avviso, non offre soluzioni che possano effettivamente portare ad una maggiore diffusione dell’arbitrato e trascura, invece, di innovare nel settore degli arbitrati dei contratti pubblici, viceversa, centrale nella logica di un rilancio economico a “trazione” pubblica.

Se l’arbitrato è visto nella riforma quale strumento di ausilio al rilancio dell’economia ovvero come alternativa al rinfoltimento dei ranghi dei  giudici togati in prime cure, era necessario pensare a qualche azione innovativa  volta a compulsare l’utilizzo più ampio dello strumento arbitrale, quantomeno con riferimento al contenzioso di impresa, settore nevralgico per il rilancio dell’economia e naturale approdo della giustizia privata: la globalizzazione e l’internazionalizzazione sempre più “fisiologica” dei rapporti commerciali, nel mondo[1], non solo spingono inevitabilmente il contenzioso di impresa verso la giustizia arbitrale[2], ma la stessa competizione tra le imprese e la loro capacità di competere sul mercato, nazionale ed internazionale, può essere frenata dagli effetti del contenzioso, specie se lungo e di durata imprevedibile.

La risoluzione arbitrale del contenzioso d’impresa in tempi celeri, costituisce, infatti, esigenza avvertita  nelle economie dei paesi più avanzati che comprendono l’importanza del fattore tempo nella risoluzione delle controversie ed esecuzione dei contratti e considerano, a ragione, la celere risoluzione dei contrasti, quale fattore di  competitività.

L’arbitrato è dunque utile e necessario non solo per le cause internazionali e di elevato valore, ma anche per il contenzioso di impresa di minor peso economico.

Tuttavia, perché la devoluzione arbitrale avvenga, si debbono creare le condizioni per il suo sviluppo, posto che l’alternativa privata alla giustizia togata, in Italia, non è ancora un “sistema” sufficientemente organizzato e regolato per dare garanzie strutturali di qualità della decisione, nonostante i costi della giustizia arbitrale privata non siano paragonabili a quelli, molto più contenuti, del servizio pubblico.

Il costo della giustizia arbitrale, se elevato in rapporto alla controversia, costituisce un limite “strutturale” alla sua diffusione.Ogniqualvolta i costi della decisione siano vicini o superiori al diritto in contesa,  la proposizione stessa della causa appare antieconomica, troppo rischiosa e, dunque, poco funzionale alle parti: il che sconsiglia, in linea di massima, l’arbitrato per risolvere cause bagatellari.

I temi dei costi dell’arbitrato, della qualità delle decisioni, della terzietà e competenza del designato, sono particolarmente sentiti dalle istituzioni arbitrali che, al fine di ampliare il bacino delle controversie, da tempo si stanno orientando verso la semplificazione dei procedimenti ed una riduzione dei costi[3], quale passaggio obbligato al fine di sostenere la domanda di soluzione arbitrale anche verso controversie di minor (medio) valore.

Tuttavia, l'interesse all’incremento delle controversie devolute alla giustizia privata non è confinato alle istituzioni arbitrali, visto che la più ampia diffusione dello strumento arbitrale nella risoluzione del contenzioso d’impresa, interessa principalmente lo Stato in quanto può afferire benefici macroeconomici al sistema economico facilmente intuibili, anche in termini di attrazione dei capitali esteri.

Accade che solo pochi tra gli imprenditori italiani (ed i professionisti che li adiuvano), sono persuasi delle necessità di slegarsi da una anacronistica ricerca del giudice civile per risolvere le controversie, e, dunque, vi ricorrono, nonostante le note disfunzioni e gli elefantiaci tempi processuali.

Ciò avviene nonostante sia oramai largamente diffusa la consapevolezza  che -quando insorge  una lite-  la sentenza il più delle volte  giungerà tardivamente, posto che il dato della vita media delle società è più basso di quello della durata di un processo e ciò, dunque, lascia presagire che all’esito del processo una delle parti (attrice o convenuta che sia) potrebbe essere divenuta incapiente, fallita o addirittura estinta: la statuizione del Giudice rischia di rimanere il più delle volte inapplicata (così come la norma sostanziale che la sentenza solo tardivamente applica), con effetti pregiudizievoli evidenti non solo di carattere economico ma anche di distorsione del mercato e perdita di competitività che grava soprattutto sulle imprese che seguono le regole.

Su questa distorsione è doveroso che il legislatore intervenga: un sistema efficiente e più celere di giustizia arbitrale al servizio del mondo produttivo, può renderci più competitivi.

Molto dunque avrebbe interesse a fare il legislatore (anche regionale) per far aumentare i numeri delle cause decise dalla giustizia privata, per fare propri i vantaggi macroeconomici (sul sistema delle imprese e dunque sulla competitività) che un effettivo sviluppo della giustizia arbitrale afferirebbe, vantaggi che -ad avviso di chi scrive- supererebbero quelli afferiti dall’effetto deflattivo che pure potrebbe registrarsi sul sistema giustizia ove la diffusione della soluzione arbitrale divenisse statisticamente significativa.

Si vuol dire che l’arbitrato può assicurare tempi brevi (e dunque un rapido cambio di passo) nella risoluzione del contenzioso di impresa e, dunque, nell’efficienza dei rapporti tra imprese e nella gestione delle risorse finanziarie sicchè, correttamente, la riforma Luiso ne riconosce la centralità.

Tuttavia, in assenza di idee nuove e coraggiose od azioni più concrete del legislatore (volte al decollo e sviluppo della soluzione arbitrale delle controversie)  è facile presagire che anche questa riforma difficilmente sarà artefice dell’auspicato cambio di passo.

 L’interessante novità dell’estensione dei poteri cautelari agli arbitri[4], introdotta nel testo finale licenziato dal Senato, è tuttavia condizionata alla espressa previsione delle parti; ciò tuttavia renderà difficilmente operativa l’innovazione a lite insorta (a meno che non vi sia una insolita convergenza di volontà in una fase “complessa” del rapporto) ed è, dunque, prevedibile, rimarrà limitata alle ipotesi in cui il potere sia espressamente regolamentato nella convenzione di arbitrato.